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Economia

Il petrolio in saldo aiuta imprese e famiglie

Petrolio 1

Qualcosa inizia a muoversi. La flessione del petrolio comincia a dare un po' di sollievo a famiglie e aziende. L'importanza dell'oro nero nella vita economica è tale che il calo del suo prezzo ha un impatto notevole come stimolo all'attività economica. Non è però sicuro il suo effetto sulla deflazione, perché le famiglie, per aumentare la propensione agli acquisti, devono percepire il calo non temporaneo ma duraturo.

Aumentano margini per le imprese e potere d'acquisto per le famiglie.
Le imprese sono state le prime a sentire gli effetti benefici della flessione dei prezzi. Cala un fattore di costo importante, che permette di aumentare i margini: il fenomeno è emerso con chiarezza negli indici Pmi di dicembre sull'attività economica. La flessione è tale, e il petrolio così indispensabile, che aumenta di fatto il potere d'acquisto. Con la stessa cifra è possibile comprare un numero maggiore di beni. Gli economisti parlano di variazione dei prezzi relativi: se un tempo per acquistare - ammesso che abbia senso per un consumatore... - un barile di petrolio (90 euro circa) occorreva "rinunciare" a due cene al ristorante, oggi ne "costa" una sola o poco più. Il prezzo relativo del petrolio rispetto a quello della cena - e di qualunque altro bene - è quindi variato con forti effetti sulla struttura degli acquisti.
I consumi ripartiranno?
I consumatori non si sono bene accorti di questo vantaggio: in genere - e in media - occorre che l'effetto del calo del petrolio, come di qualunque fattore che abbia effetto sui redditi, sia percepito come persistente e non temporaneo perché le famiglie modifichino i loro consumi. O almeno le loro spese: tartassati da imposte e, spesso, mutui e prestiti, non è ancora chiaro quanto possano davvero aumentare gli acquisti. Il discorso, ovviamente, vale per coloro che hanno conservato il loro reddito e non per chi lo ha visto falcidiare dalla crisi o azzerare dalle chiusure aziendali.
L'impatto dell'euro.
Tutto bene, allora? È innegabile che il calo del petrolio sia una boccata di ossigeno, così come la parallela flessione dell'euro, un'altra causa di variazioni dei prezzi relativi. Questi due fenomeni vanno però in senso opposto, perché il greggio viene pagato in dollari: l'indebolimento dell'euro, a parità di quotazioni del petrolio, ne fa aumentare il prezzo. Al momento il calo dell'oro nero è talmente forte che non è stato troppo ridimensionato dal deprezzamento del cambio. Molto dipenderà però dai prossimi passi della Banca centrale europea e dall'effetto che avranno sul cambio. Non a caso il petrolio è uno degli argomenti che divide i fautori di una politica più espansiva e i tedeschi, più rigidi.
È vera deflazione?
È innegabile, infatti, che una buona parte della disinflazione - e, in qualche caso, della deflazione attuale - sia legata al calo del greggio. In quanto "variazione dei prezzi relativi", non è vera disinflazione (né vera deflazione, quando l'indice ha un segno meno), e la politica monetaria dovrebbe ignorarla. Esattamente come dovrebbe ignorare - ma non sempre lo fa - i rialzi dell'indice dei prezzi causati dal caro petrolio: tassi più alti per contrastare questa finta inflazione avrebbero solo l'effetto di frenare un'economia già penalizzata da un costo dell'energia più alta.
Gli «effetti di secondo impatto»...
Quando Jens Weidmann, presidente della tedesca Bundesbank, sostiene che non occorre rispondere al calo del petrolio, usa un argomento che ha basi solide. Il punto è che la Bce non ha sempre usato questo ragionamento quando il greggio invece si apprezzava, e un comportamento simmetrico verso rialzi e ribassi dei prezzi è essenziale per la credibilità di una banca centrale. Nelle fasi di caro petrolio, la Bce ha sostenuto che ci sono effetti indiretti su altri prezzi e soprattutto effetti "di secondo impatto" (second-round effects), nel senso di successivi: investono le aspettative di inflazione su salari e tassi di mercato. A luglio 2008, con il greggio a 146 dollari il barile che minacciava la crescita globale, la Bce ha così ritenuto necessario alzare i tassi di riferimento, in quell'occasione "per lanciare un messaggio" ai sindacati tedeschi che chiedevano forti aumenti salariali.
La Bce non può ignorare la deflazione.
Il ragionamento su effetti indiretti e di secondo impatto è stato ripetuto da Draghi nella conferenza stampa Bce di dicembre, confermando l'intenzione di conservare o almeno seguire un orientamento simmetrico. Petrolio o non petrolio - e l'argomento può essere ripetuto con l'euro - le aspettative di inflazione, che sono il vero obiettivo della politica monetaria non sono mai state così basse e rischiano davvero di sfuggire di mano. La questione è tecnica e politica insieme e non sarà un algoritmo o un modello economico a portare a una soluzione. È un fatto però che disinflazione e deflazione sono espressione di molte cose. Soprattutto, sono anche il sintomo di una recessione non tecnica, perché il l'indice del pil non cala in Eurolandia (ma in Italia sì), ma non per questo meno reale.

Riccardo Sorrentino
da "Il Sole 24 ore"